L’apolide è la persona che nessuno Stato considera come cittadino.
Ai sensi dell’art. 31 della Convenzione di New York, vi è un divieto generale di espulsione dell’apolide, salvo che per motivi di sicurezza e di ordine pubblico.
Ci si chiede se tale divieto ( frutto del bilanciamento tra la tutela dei diritti fondamentali della persona e le esigenze di sicurezza del territorio riservate alla sovranità statale) si applichi anche quando si è in presenza del c.d apolide di fatto, ovvero del soggetto che ha tutte le condizioni per essere tale, perché magari accertato dall’autorità pubblica o in un giudizio in via incidentale, ma che non ha attivato il procedimento ad hoc previsto per il formale riconoscimento dello status di apolide.
La Suprema Corte, nella pronuncia in esame, risponde positivamente al quesito.
Il caso riguardava un soggetto presente nel territorio italiano destinatario di un decreto di espulsione giunto in Cassazione e apolide di fatto, in virtù delle seguenti ragioni:
- Perdita della nazionalità jugoslava, essendo venuta meno la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia.
- Mancato riconoscimento della persona in questione come cittadino della Bosnia Erzegovina da parte delle autorità da parte della rappresentanza diplomatica in Italia.
- Assenza della cittadinanza italiana e difetto del permesso di soggiorno.
La Corte di Cassazione afferma che il procedimento di riconoscimento formale dello status di apolide è di accertamento e non costitutivo, ragion per cui si limita ad accertate i presupposti di fatto e di diritto già sussistenti.
In secondo luogo il già citato art. 31 della Convenzione trova applicazione analogica anche agli apolidi di fatto, perché identica è la situazione, ovvero la tutela dei diritti fondamentali della persona, salve esigenze di sicurezza.
Ne consegue l’annullamento del decreto di espulsione ( Cass., sent. n. 16489 del 2019).